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      Il principe si fece avanti in questa società scomposta, bramosa di ordine, con l'irremovibile fede, che soltanto la tirannide popolare poteva giovarle, e questa soltanto fosse legittima. Come un tempo l'imperatore appena eletto s'impose ai suoi deputati dicendo: "io ho un titolo di diritto, voi non ne avete alcuno!" così ora il nipote parafrasò: "l'erede di un governo eletto da quattro milioni di cittadini non può inchinarsi a un re eletto da duecento deputati". In mezzo a un mondo afflitto da mille dubbi scettici il napoleonide camminava con la sicurezza di un sonnambulo. Aveva fede in sé stesso e nell'assolutismo militare al quale attribuiva la rinomanza dell'idea napoleonica. Questa idea risorgerebbe dalle ceneri in conformità di un divino esempio: la fede politica, come la religiosa, ha avuto i suoi martiri; egli, come in quella, sarebbe l'apostolo e avrebbe il suo regno. Egli direbbe ai francesi come san Remigio disse al re dei Franchi: "giù il capo, o Sicambro! Brucia ciò che adori, e adora ciò che hai bruciato!". Il principe viveva e respirava in questo cerchio d'idee; quando riportava il discorso sull'imperatore, pareva sovente che un'allucinazione s'impadronisse di quel cervello freddo. Nei giorni del trasporto funebre da Neuilly a Parigi, il nipote indirizzò una lettera allo zio. Gli parla come a un vivo, gli dà del Sire e del Voi; e dipinge i potenti del giorno atteggiati in palese ad onorare l'eroe e in segreto a pregare: "O Dio, non lo svegliare!", a raccogliere la giovine armata, ma a dirle: "Incrociate le braccia!


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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