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      Abbasso tutti i vizi dei tempi monarchici, e prima di tutto l'eredità dei beni e dei titoli!". Quando i radicali moderati posero la repubblica al di sopra del suffragio universale, Proudhon si diede a un pensiero anche più ardito e dichiarò: la rivoluzione è al disopra della repubblica! Non era dubbio, che dietro quel grido di delirio non fosse sempre una decisione seria. Se anche il pathos della prima rivoluzione non era andato immune dall'esagerazione rettorica, ora i luridi fogli della nuova repubblica condotti alla maniera di Marat mostravano del tutto una sete di sangue epigonica, falsa, spasmodicamente sforzata. Tuttavia si comprende benissimo, che da tali minacce una società di godimento e di lavoro concepisse un cupo e cieco terrore.
      Durante lo stesso febbraio la rendita al cinque per cento discese da 120 a 55: l'esportazione degli articoli della moda parigina di primavera si arrestò completamente. Nella città dei forestieri intere file di case erano vuote, centinaia di macchine erano ferme, e al popolo senza lavoro la repubblica come primo benefizio portò un'imposta addizionale di 45 centesimi: un peso che non era menomamente compensato dall'abolizione dell'imposta sul sale. Anche Bonaparte dopo il 18 brumaio aveva iniziato il proprio governo con un inasprimento d'imposta del 25 per cento; ma il popolo lo tollerò di buona voglia, perché desiderava il nuovo dispotismo. Ora, invece, la repubblica esecrata veniva in un'ora infelice ad aggravare i balzelli; e per tutte le classi di possidenti corse un grido di collera.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





Proudhon Marat Bonaparte