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      Solo una volta, ad Angers, tradì, alquanto più chiaramente, il suo desiderio riposto: "io non ho né il genio, né la potenza di mio zio": parola significativa in un paese, le cui provincie sono abituate ad attendersi ogni prosperità dal capo dell'amministrazione.
      A malgrado di una tale riservatezza del principe, non era però verosimile che un capo di stato responsabile si sarebbe vincolato ai consigli dei terzi. Il presidente dichiarò nel modo più reciso al principe Napoleone, suo arrogante cugino, che non avrebbe mai tollerato l'influenza di chi si sia, e che intendeva di governare nell'interesse delle moltitudini, non mai di un partito. Anche i ministri sentirono presto sopra di sé la forza di una volontà fatta: s'indussero perfino a decorare, apparentemente per meriti verso la repubblica, i congiurati di Strasburgo, e con tutto ciò non riuscirono a cattivarsi la soddisfazione del padrone. Solo che il principe cercò di legare a sé la testa forte del gabinetto, Tocqueville. Il quale però argomentò: "il principe vuole creature, non già ministri". Inoltre il presidente, il 31 ottobre 1849, annunziò all'assemblea nazionale che la repubblica abbisognava di una guida unica e ferma; che perciò aveva dimesso i ministri e si era circondato di uomini "tanto solleciti della responsabilità mia quanto della loro". "La Francia", esclamò, "cerca la mano, la volontà, la bandiera dell'eletto del 10 dicembre. Tutto un sistema ha trionfato il 10 dicembre. Il solo nome di Napoleone è un programma, e significa, all'interno, ordine, autorità, religione, benessere del popolo, e, all'estero, dignità nazionale". Principiò il governo personale.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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