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      Ma al presidente era riserbato un ultimo trionfo: la legge del 31 maggio. Sembra a noi del tutto ammissibile, che solo di contraggenio il principe avesse dato il suo consenso a questa limitazione del suffragio universale, il quale, del resto, costituiva il solo titolo legittimo della sua dinastia: d'altra parte, egli non aveva facoltà d'impedire la legge. E appunto di quest'opera inconsiderata decise ora di servirsi come arme contro l'assemblea nazionale. La stampa bonapartista, con a capo il sempre disinvolto Véron, aprì la campagna contro la legge. Di più, il principe saggiò un tentativo, poi subito smesso, di approccio ai democratici sociali, e finalmente il 4 novembre in un messaggio al parlamento disse: "Nutrite voi forse meno fiducia di Noi nell'espressione della volontà popolare? Ripristinare il suffragio universale significa prendere la bandiera alla guerra civile e l'ultimo argomento all'opposizione". Era quello, dopo il rigetto della revisione dello statuto, un altro grosso sproposito del parlamento l'ostinarsi, per odio al presidente, a tenere in vita una legge che tutti confessavano insostenibile. E così il presidente apparve ora alle moltitudini come il difensore della democrazia di contro a una casta tirannica.
      In uno stato burocratico la lotta tra il potere esecutivo e il legislativo deve infallibilmente menare alla vittoria dell'esecutivo, quando però il capo dell'amministrazione possa contare sulla validità del proprio volere e sull'indifferenza delle popolazioni.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





Véron