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      Bastava che l'imperatore si credesse sicuro del favore delle moltitudini, ed egli, secondo l'articolo 5, aveva facoltà di appellarsi al popolo sovrano: che era un'arme violenta del dispotismo, la quale, usata al momento opportuno e conformemente alla morale napoleonica, era al caso di accrescere sempre che volesse la soverchianza della corona, e in effetto escludeva ogni speranza di un onesto regime parlamentare.
      Per contro, posto che le moltitudini venissero nell'idea, che l'eletto non rappresentava più i loro interessi, il proemio della costituzione indicava la via per richiamare l'imperatore alla responsabilità. Dichiarare irresponsabile un capo dello stato francese, ivi è detto, "ciò significa mentire al sentimento pubblico; ciò significa ammettere una finzione, che per tre volte è andata dispersa nel turbine delle rivoluzioni". Più chiaro di così non si può dire, che l'imperatore portava e voleva portare la sua corona col pericolo permanente di essere cacciato da una quarta rivoluzione. Con ciò, dunque, nella superba Francia si era giunti a questo, che la legge fondamentale di una nazione civile con ingenuità cinica confessava: il nostro regime è un gioco va-banque, ogni sicurezza del diritto pubblico è una lustra, ogni costituzione nient'altro che un espediente! La corona napoleonica non godeva la sicurezza della monarchia ereditaria, e appunto perciò era provvista di una pienezza di potenza, che un monarca legittimo non ha mai raggiunta: "essendo il capo dello stato responsabile", dice quel proemio, "la sua attività deve essere libera e senza impacci".


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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