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      In altre parole, la limitazione del potere imperiale, il passaggio al sistema parlamentare era impossibile senza la sanzione della nazione: per contro l'imperatore era libero senz'altro di ampliare la propria potestà, eccetto questo, che non gli era lecito di abolire il corpo legislativo. Nello stesso modo come un tempo il primo Napoleone aveva detto: "il disegno costituzionale di Sieyès abbraccia solamente l'ombra; ma noi abbisogniamo della sostanza, ed io ho collocato cotesta sostanza nel governo", così anche al secondo bonapartismo era dato di vantarsi, che il potere esecutivo formava l'unica forza viva del suo diritto pubblico. È certo, però, che la costituzione del 1852 non ha condotto, come quella consolare, a un accrescimento sempre più soverchiante del dispotismo. L'imperatore ha spesso riconosciuto il bisogno di condizioni di maggiore libertà. Secondo l'assicurazione del duca di Morny, egli nel 1861 lamentava nel Consiglio privato la mancanza di pubblicità e di sindacato come il cancro del sistema; e nel febbraio del 1866 dichiarò al senato: "il mio governo non è stazionario, ma progredisce e vuole progredire". Nel 1865 fece esporre al pubblico i provvedimenti più importanti del suo governo nella compilazione la Politique impériale, con la ferma fiducia, che il giudizio pubblico non avrebbe disconosciuto le benemerenze del regime. Se non che la prima condizione della libertà politica, la sicurezza del diritto comune, la quale importa più delle singole concessioni al liberalismo, era onninamente impossibile nella Francia imperiale.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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