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      Perciò la tirannide responsabile era incompatibile con la libertà di parola di una seria discussione parlamentare; ogni rimprovero, in tal caso, andava a colpire l'imperatore, scoteva l'autorità della corona, oppure, come va da sé, era soffocato dal campanello presidenziale.
      Invecchiando, il despota si difendeva ancora: ricordò novellamente alla nazione "i titoli legittimi dei Bonaparte", le menzionò novellamente i potenti plebisciti, che avevano fondato con sei grandi votazioni la potestà della sua casa. Ma la fede nell'avvenire dei Bonaparte era andata a fondo, da quando l'imperatore si era attaccato un'altra volta a quella Chiesa avida di dominazione, la quale troppo bene sapeva, che il bonapartismo aveva assai più bisogno del proprio aiuto che non essa della sua protezione. I bonapartisti parlavano ancora con baldanza, cercavano anzi di assumere il tono affabile della monarchia patriarcale. Nelle Memorie di Véron, negli Annales de la paix di Guettrot e simiglianti libri, parlava un'affettuosità fanciullesca, che ricordava il Libretto del re Giovanni di Sassonia e le operette affini prodotte dalla servilità dei piccoli stati tedeschi. Ma il tono era ricercato e affettato: il parallelo, di moda in altri tempi, tra Augusto e il terzo Napoleone cominciava a sollevare nel mondo i fischi. La stampa dichiarava sempre più animosamente, tra il plauso degli stranieri, che solo il parlamentarismo, l'intero e vero parlamentarismo, poteva salvare la calante Casa imperiale. Sonava sempre più alto l'antico aforismo la France est centre gauche, laddove un prossimo avvenire doveva far manifesto, che l'ebbrezza di un successo guerresco è a questo popolo sempre più cara di qualsiasi ideale politico.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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