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      Insomma anche sotto l'imperatore contadino l'agricoltura rimase il mestiere più umile, incomparabilmente meno onorato e lucrativo della burocrazia e del foro, dell'industria e della borsa.
      Mentre l'agricoltura non sapeva risollevarsi dalla sua malsania inveterata, per contro il commercio e l'industria venivano iniziati alle fortune di un'età novella da un atto dell'imperatore, che, già mezzo dimenticato dagl'ingrati contemporanei, basta da solo ad assicurare al nome di Napoleone III una fama imperitura. Per assicurare la libertà del commercio, l'imperatore dové romperla con alcuni dommi della religione napoleonica, con le abitudini burocratiche e coi pregiudizi nazionali; anzi, di più, addirittura con la tradizione storica del suo stato. Un tempo egli aveva rispettato fidamente le idee protezioniste dello zio; poi era stato testimone oculare dell'ardita conversione di Roberto Peel, e più tardi apprese da Cavour, da Michele Chevalier e dai conservatori progressisti della monarchia di luglio, Morny e Girardin, quanto le loro aspirazioni liberoscambiste avessero esacerbato la borghesia. Ma lo stesso Girardin si aspettava solo per un lontano avvenire l'abiura, da parte del governo, dell'antichissima consuetudine del sistema proibitivo. Frattanto l'imperatore aveva capito le mutate condizioni del commercio mondiale; e che egli abbia osato gettarsi nell'alta marea della moderna vita commerciale, che sia stato capace di comprendere la nuova età sullo sboccio, che abbia opposto una volta all'egoismo delle classi un atto monarchico di giustizia distributiva, ecco, in ciò appunto consiste la più bella gloria del suo governo.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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