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      L'imperatore si vantava: "se vi sono uomini che non intendono i propri tempi, io non appartengo a costoro"; ed ebbe il raro coraggio di por mano a disegni europei, che la più parte dei suoi contemporanei e quasi tutti i gabinetti tenevano per utopistici. All'opinione pubblica la saldezza incrollabile del regime della sciabola austriaco pareva tanto indubitata, quanto la incapacità politica degl'italiani. La grande maggioranza della nazione, che amava chiamarsi la nation initiatrice, era abbarbicata alle antiche idee dell'invidia politica. Non erano i soli ultramontani quelli che temevano il risorgimento dell'Italia come un pericolo pel papato, e che vedevano con soddisfazione, che il partito reazionario nella Penisola, dopo la conquista di Roma, riguardava la Francia come un saldo sostegno. Anche i rossi radicali credevano tuttora fermamente all'antichissimo principio fondamentale della politica italiana dei francesi: nella Penisola non è ammissibile nessuna potenza indipendente, né straniera, né italiana. Solo di malavoglia gli alti ceti si confecero all'idea, che la Francia sguainasse la spada pel re delle marmotte. Perfino tra i sommi consiglieri dell'imperatore si annoveravano molti proseliti del partito delle dame spagnuole: al tempo del Congresso di Parigi l'ambasciatore napoletano Carini qualificò il conte Walewski come il migliore "tra la canaglia che circonda l'imperatore". Ma nello scambio d'idee con Cavour, Napoleone III venne alla decisione di riprendere e sostenere con spirito energico il principio del non intervento, che tra le deboli mani di Luigi Filippo si era volto in una frottola: come aveva tentato di distruggere la supremazia russa in Oriente, così ora intendeva di spezzare la dominazione dell'Austria nel Mezzogiorno, e accordare mano libera agl'italiani nella determinazione del proprio destino; ben inteso, sotto la guida della Francia e dietro ampia indennizzazione.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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