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      Un vero grande statista, che comprendesse la potenza della passione nazionale, e, insieme, volesse far ragione ai sentimenti del mondo cattolico, doveva movere dalla persuasione, che in un prossimo avvenire il potere temporale del papa sarebbe tramontato e Roma sarebbe toccata agl'italiani; e doveva solamente cercare d'impedire, che Roma divenisse la capitale d'Italia. Questo infelice disegno fantastico, che non poteva far di meglio che danneggiare il giovine stato, fu allora combattuto vivamente da d'Azeglio e altri leali patrioti, e forse lo avrebbe mandato a vuoto anche una politica francese saggia e generosa. Ma Napoleone, incapace d'intendere interamente le forze spirituali di questa rivoluzione, sperava sul serio, che il movimento unitario si sarebbe fermo e raccolto in venerazione davanti al potere temporale del papa. E costrinse quindi il governo di Vittorio Emmanuele a trasferire la capitale a Firenze, abbassandone in questo modo l'autorità agli occhi degli italiani, laddove solamente un governo forte avrebbe potuto osservare la Convenzione di settembre.
      Il trattato era un puro espediente, giacché i due contraenti si riserbarono la mano libera pel caso di una insurrezione dei romani; contava però sul fatto, che durasse e che fosse rispettato. Perciò fu accolto con collera e indignazione in alta Italia; ché questa parte politicamente la più esperta degl'italiani sentì, che col trasferimento della capitale lo stato rinunziava per sempre o per lungo tempo a Roma. Solo la fantasia, poco abituata alla chiarezza, del Mezzogiorno menò gran giubilo: immaginò, che il trattato non fosse pensato seriamente.


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La Francia dal primo Impero al 1871
di Heinrich von Treitschke
Editore Laterza Bari
1917 pagine 597

   





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