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      Vi è un’altra specie di collaborazione che si potrebbe chiamare automatica o inconscia e che non è meno importante a considerare. È nota l’osservazione di Eulero, colla quale egli accenna all’impressione cui non poteva sottrarsi, ogni qual volta dalla natura dei suoi lavori era portato a servirsi di lunghi sviluppi o trasformazioni di formole per giungere ai risultati che aveva in vista. Gli pareva allora, egli dice, che i suoi simboli e le sue formole s’incaricassero di pensare e ragionare per lui e che la sua matita vincesse di perspicacia il suo cervello. Ed egli spingeva la sua fiducia nella sua matita fino al punto di pronunciare, in presenza di un risultato assurdo a cui essa lo portava, la celebre frase: Sebbene ciò sembri contrario alla verità, pure è più da fidarsi del calcolo che del nostro stesso giudizio. (Mechanica, voI. I, § 272 ). Tale impressione e tale fiducia, per quanto sembrino a prima vista strane ed ingiustificabili, diventano perfettamente spiegabili e naturali quando si pensi quante idee e quante meditazioni, alcune delle quali rimontano a secoli anteriori, si trovano, per così dire, concentrate e immagazzinate in quei segni e in quelle formole che l’abitudine ci pone in grado di maneggiare con tanta facilità e rapidità. In esse cooperano effettivamente ancora con noi, a così grande distanza di tempo, altre menti, senza il cui aiuto noi dovremmo ripetere, ritornando da capo, tutto il lavoro che esse hanno fatto una volta per tutte.(12)
      Il caso di Eulero coincide in sostanza con quello d’un calcolatore che, avendo eseguito una lunga moltiplicazione, prima direttamente e poi coll’aiuto dei logaritmi, si trovasse ad aver ottenuto due risultati diversi.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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