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      Questo carattere speciale del ragionamento deduttivo è da Aristotele indicato con dire che esso conduce a conclusioni necessarie (ex anàgkes) o forzose (biaìa), colle quali denominazioni egli è lungi dal voler significare, come gli fecero più tardi dire i suoi seguaci, che le conclusioni ottenute per deduzione meritino, per ciò solo, maggior fiducia di quelle cui si arriva per mezzo dell’induzione(23). L’unica necessità, che egli ha in vista, è quella, in cui si troverebbe un disputante, di ammettere per vera una proposizione, una volta che abbia concesso all’avversario che sono vere delle altre proposizioni dalle quali la prima può essere dedotta.(24)
      A togliere ogni dubbio sulle opinioni di Aristotele a questo riguardo, mi basterà accennare a quel notevole passo della sua Fisica (lib. II in fine), nel quale egli, per chiarire col mezzo di un’analogia il significato che egli dà alla parola necessità nel caso sopra considerato e per giustificarne l’impiego, lo raffronta cogli altri sensi che tale parola ha nel linguaggio comune, e osserva come, «allo stesso modo che, quando si dice che per fabbricare una sega è necessario avere del ferro, non s’intende negare che essa possa essere anche costruita con altra materia, ma si intende solamente di dire che in questo caso essa non servirebbe allo scopo per cui è stata costruita, così anche quando i matematici dicono che la somma degli angoli di un triangolo è necessariamente uguale a due retti, essi non intendono dire che di questa proposizione non sia lecito dubitare, ma semplicemente che essi sono costretti ad ammetterla se vogliono continuare a considerare come vere le proposizioni sulle quali si sono proposti di basare le loro dimostrazioni» (lib.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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