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      Una spiegazione che soddisfacesse a queste condizioni era, per essi, perciò solo, una spiegazione sufficiente.
      Né è questa l’ultima delle cause di quell’assenza di precisione che caratterizza le loro speculazioni sulle cause dei fenomeni naturali. Essi erano ben lontani dal pretendere dalle loro speculazioni quell’attitudine a prevedere fatti non ancora conosciuti e a precorrere in certo modo all’esperienza, che per noi rappresenta una condizione tanto essenziale della fiducia che riponiamo nelle spiegazioni scientifiche. Nel più dei casi i loro ragionamenti sono atti a produrre, in uno spirito educato ai metodi rigorosi della scienza moderna, l’impressione irresistibile che, se anche il fatto da spiegare fosse stato completamente diverso da quello che era, essi non si sarebbero per nulla trovati imbarazzati ad adattare ad essi la stessa o un’analoga spiegazione colla massima disinvoltura. Le teorie fisiche della scuola epicurea, come si trovano esposte nei frammenti conservatici da Diogene Laerzio, nelle sue Vite dei filosofi, e nel poema di Lucrezio, ci forniscono notevoli esempi di questa singolare differenza tra i greci e noi nel modo di apprezzare l’accettabilità e la sufficienza di date spiegazioni. Basta dire, per esempio, che Epicuro, parlando delle cause delle eclissi, ne dà una serie di spiegazioni distinte e contraddittorie, tra le quali naturalmente si trova anche la vera, presentandole tutte come ugualmente meritevoli di attenzione e ugualmente giustificate, perché ugualmente incompatibili colle superstiziose credenze popolari,(33) secondo le quali tali fenomeni erano da paventarsi come presagi di disastri o come segnali della collera divina.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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