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      L’indagar le cause che hanno contribuito a creare questa opinione così contraria ai dati positivi che ci offre la storia delle scienze, sarebbe uscir troppo dall’argomento che mi sono prefisso di trattare. Non si può certamente negare che i meravigliosi risultati ottenuti dai greci, per mezzo della deduzione, nel campo della geometria e il conseguente costituirsi di questa come la scienza per eccellenza (come lo indica il nome), sul cui modello anche le altre dovevano tendere a organizzarsi,(36) abbiano potentemente contribuito a creare dannosi pregiudizi o esagerati apprezzamenti sull’efficacia del ragionamento deduttivo, tanto come mezzo di prova che come strumento di ricerca, e a spingere alla sua immatura e improvvida applicazione anche ad altre scienze, la cui natura o il cui stadio di sviluppo non ne consentiva ancora il proficuo impiego. La traccia di una tale influenza è evidente negli scritti di Aristotele e più ancora in quelli di Platone, del quale basti ricordare qui le eloquenti ed entusiastiche parole colle quali, nel libro sesto della Repubblica, proclama la superiorità della geometria su tutte le scienze, e nega a chiunque la ignori il diritto di occuparsi di ricerche teoriche su qualsiasi soggetto. È di lui che si racconta che a un giovane ignaro di matematica, che chiedeva di essere da lui istruito, rispondesse: «Io non ti posso tingere, se prima non vai a farti sgrassare». E a un altro che, trovandosi nella stessa condizione, gli chiedeva di essere ammesso alla sua scuola, ne rifiutasse l’accesso dicendo: «Come devo prenderti, se sei come un’anfora senza manichi?


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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