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      1) che i due oggetti entrino simmetricamente nel suo enunciato, in modo cioè che essi possano essere posti l’uno in luogo dell’altro (senza che la relazione cessi di sussistere se prima esisteva);
      2) che se sussista per una coppia A e B, e inoltre per un’altra B e C, che abbia colla prima un elemento comune, sussista pure tra A e C.
      Nasce senz’altro la convenienza(57) di foggiare una parola, che indicherò per brevità con x, il cui senso, pur non essendo direttamente assegnabile per mezzo d’una definizione, risulta determinato dal significato che si attribuisce alla frase «il tale oggetto ha lo stesso x del tal altro oggetto». Diventa conveniente cioè indicare con questa frase, o con altra locuzione analoga, il fatto che due dati oggetti soddisfanno alla condizione in questione.
      Così, per esempio, invece di dire che due rette sono parallele, giova dire che le due rette hanno la stessa direzione; invece di dire che i quattro numeri a, b, c, d, sono tali che gli equimultipli di a e c si accordano nel rimanere inferiori o superiori o eguali agli equimultipli di b e d, si dirà che il primo ha col secondo lo stesso rapporto come il terzo col quarto (Euclide), e queste convenzioni sarebbero perfettamente legittime anche se noi non fossimo affatto in grado di rispondere alle domande: «Che cos’è la direzione d’una retta?», «Che cos’è il rapporto tra due numeri?».
      La convenienza di adottarle consiste in ciò che in tal modo noi possiamo utilizzare senz’altro, per esprimere proposizioni o ragionamenti riferentisi alla relazione considerata, tutte le locuzioni e le regole di deduzione che abbiamo già a disposizione per esprimere le corrispondenti proposizioni relative alle eguaglianze propriamente dette.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Euclide