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      Fu del resto, come è noto, per mezzo di tentativi diretti a rendersi ragione della differenza tra la capacità termica di un gas che lavori espandendosi a pressione costante e quella d’un gas che si mantenga di volume costante, che il Mayer giunse per la prima volta a calcolare il valore del rapporto costante tra il calore che scompare e il lavoro a cui esso dà luogo.
      Il Mach osserva a proposito che, a presumere la costanza di questo rapporto, il Mayer fu spinto, assai più che dall’idea che il calore fosse una forma di movimento, dalla persuasione che la «quantità di calore» fosse qualche cosa di analogo a una sostanza materiale non suscettibile di essere annichilita o creata dagli uomini, ma solo di trasformarsi o scomparire temporaneamente, salvo a ricomparire inalterata quando si ripeta il processo in senso inverso.
     
      XI
     
      Anche nella storia della meccanica propriamente detta troviamo numerosi esempi di processi d’indole analoga.
      Così, alle ricerche sulle leggi dell’urto e della comunicazione di movimento da un corpo ad un altro diede grande impulso la presunzione che, se due corpi in moto, urtando rispettivamente un terzo corpo, producono in lui, a parità di altre condizioni, uguali effetti, cioè uguali variazioni di velocità, tali due corpi dovessero possedere un’egual quantità di qualche cosa che si denominò forza viva per distinguerla dalla «forza morta» rappresentata invece dalla tensione o pressione che un corpo in riposo esercita in virtù del proprio peso.
      A questo qualche cosa furono attribuite da Cartesio proprietà analoghe a quelle di una sostanza materiale, e in primo luogo quella di non essere soggetta ad accrescimenti o diminuzioni, ma solo a trasformazioni e trasmigrazioni da un corpo ad un altro.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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