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      Ciò ebbe per effetto che il problema di valutare l’ammontare di questo qualche cosa, contenuto in un corpo di dato peso e di data velocità, divenne equivalente alla seguente questione:
      determinare una tal funzione del peso e della velocità, che abbia la proprietà che la somma dei suoi valori in corrispondenza a due o più corpi urtanti mantenga lo stesso valore prima e dopo l’urto.
      L’idea, abbracciata prima da Cartesio, che la funzione godente di tale proprietà fosse il prodotto della massa per la velocità (che egli chiamò quantità di moto, per la stessa ragione come, nel caso già visto indietro, il prodotto della capacità termica per la temperatura fu chiamato quantità di calore), lo condusse a conclusioni non conformi all’esperienza, pel fatto appunto che egli, considerando tale prodotto come rappresentante una sostanza, non ne poteva contemplare che il valore assoluto, e doveva rifiutarsi ad ammettere che la scomparsa d’una quantità di moto potesse venir compensata dalla scomparsa di un’equivalente quantità di diverso segno. Ai suoi infruttuosi tentativi di superare questa difficoltà si riattaccano le ricerche di Huyghens, il quale giunse finalmente a provare come esista veramente un modo di valutare la forza viva per il quale si verifica completamente la proprietà intuita da Cartesio, e che tal modo consiste nel prendere in considerazione non i prodotti delle velocità per le masse rispettive, ma bensì i prodotti di queste per i quadrati delle velocità.
      Il fatto che ogni variazione del valore della somma di tali prodotti, per i corpi di un sistema, è costantemente accompagnata da una proporzionale variazione di un’altra funzione il cui valore dipende solo dalla posizione occupata dai corpi stessi e dall’intensità e direzione delle forze a cui essi sono assoggettati, si enuncia ancora adesso con una frase atta a suggerire il conservarsi di «qualche cosa». Non c’è invero nessuna ragione per chiamare con uno stesso nome (energia) due cose tanto differenti quanto sono quelle indicate rispettivamente dal valore delle due funzioni a cui sopra ho alluso (cioè la forza viva e il potenziale), se non questa di poter esprimere il fatto, che la somma loro rimane costante, con una locuzione analoga a quella che si impiegherebbe se si trattasse d’una sostanza che, pur assumendo diverse forme, rimanesse di quantità invariabile.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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