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      E tali due asserzioni, come sa ognuno che abbia qualche famigliarità colle ricerche moderne sulla geometria «non euclidea», non solo non sono da considerarsi come così evidenti e irrefutabili come sembrano a prima vista, ma potrebbero anche non essere vere affatto senza che l’edificio geometrico che su esse si basa perdesse nulla del suo valore sia pratico che teoretico.
     
      L’illusione, che consiste nel credere che delle proposizioni della prima categoria sopra definita, possano bastare per dedurne proposizioni della seconda categoria, trova il suo perfetto riscontro nell’altra, non meno comune, secondo la quale proposizioni appartenenti alla terza categoria da noi considerata, (cioè proposizioni normative o Werturteile), potrebbero esser dedotte da proposizioni delle due classi precedenti, cioè potrebbero esser basate, o su delle semplici definizioni, o sopra delle asserzioni o constatazioni di fatto.
      L’impossibilità di costruire un sistema di morale senza appoggiarlo a qualche «imperativo categorico», di qualunque specie esso sia, è una conclusione alla quale arrivano, da punti di partenza i più diversi, i più sottili indagatori contemporanei dei fondamenti dell’etica, dal Sidgwick nel suo classico volume Methods of Ethics, al Nietzsche nel Jenseits von Gut und Böse e nel Zur Genealogie der Moral.
      Ed è da notare che, agli equivoci che favoriscono l’opinione contraria, non soggiacciono solamente i fautori della morale «naturale», o quelli che abusano del doppio senso (scientifico e normativo) della parola «legge».


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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