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      Dicendo, per esempio, che «tutti gli uomini desiderano la felicità», senza precisare in che cosa questa consista, non si afferma in fondo niente di più che se si dicesse che «tutti gli uomini desiderano... quello che desiderano», e che l’insieme di tali cose desiderate da ciascuno è chiamato, da ciascuno, col nome di «felicità».
      Se ad altri «postulati», come, per esempio, a quello degli utilitaristi (che pone come fine «la massima felicità del massimo numero»), non si possono muovere analoghe obbiezioni, ciò dipende solo dal fatto che essi precisano di più il fine che intendono assegnare; ma appunto col precisarlo lo distinguono da altri fini che, da un diverso punto di vista, possono apparire altrettanto desiderabili o altrettanto degni di esser presi di mira dal legislatore o dal moralista. Così, per esempio, la suddetta formula utilitarista; prendendo in considerazione, in certo modo, solo la «quantità di felicità» e il numero delle persone che ne godono, può non essere soddisfacente a chi dia invece maggior importanza al modo, più o meno equo e proporzionato, di distribuzione della «felicità» stessa, o a chi riguardi un’uniforme ripartizione dei vantaggi della società, fra i singoli individui che la compongono, come qualche cosa di tanto rilievo quanto la quantità totale di felicità disponibile e il numero dei partecipanti alla sua ripartizione. Se l’utilitarista ricorre, per difendersi, all’altro assioma benthamiano: «che la felicità d’una persona non deve contare né più né meno che la felicità d’un’altra» nel computo totale, egli va incontro ad altre obbiezioni ancora più gravi, per esempio all’obbiezione formulata dallo Shelley in quella sua domanda, fantastica ma convincente: «Dato che fosse possibile accentrare in una sola persona tutte le soddisfazioni accessibili agli uomini, in un dato intervallo di tempo, privandone tutti gli altri, e dato che, facendo ciò, si potesse anche inoltre accrescere il numero delle soddisfazioni complessive godute nel mondo, basterebbe ciò forse a «giustificare» la disparità di trattamento tra quell’uomo e tutti gli altri?


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Shelley