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      Ne segue che le interiezioni possono qualificarsi come quelle, tra le parole del nostro linguaggio, che hanno più senso di tutte le altre, e, in certo modo, come le sole che ne hanno, mentre le altre parole sono soltanto suscettibili di acquistarne, nel caso che siano assunte a far parte di una frase che ne abbia.
      La frase sopra citata del Max Müller equivale dunque a dire che il vero linguaggio comincia colla prima introduzione di parole che, prese a sé, non hanno significato, e che un linguaggio è tanto più perfetto quanto più sono numerose in esso le parole che, per se stesse, non hanno alcun senso, di fronte a quelle, che, anche enunciate isolatamente, esprimono qualche opinione o stato di animo di chi le pronuncia.
      E ciò è tanto vero che le parole che hanno meno senso di tutte le altre, quelle cioè alle quali è necessario aggiungere un più gran numero di altre parole per ottenere una frase che voglia dire qualche cosa, sono appunto quelle che compaiono più tardi, tanto nello sviluppo storico dei linguaggi quanto nel processo individuale del loro apprendimento.(79) Tali sono in particolare le preposizioni, in quanto esse hanno l’ufficio di distinguere le varie specie di relazioni che possono aver luogo tra gli oggetti dei quali si parla. Esse infatti, appunto per questo, non indicano assolutamente nulla se non sono accompagnate dalle parole denotanti gli oggetti tra i quali la relazione in questione s’intende sussistere. Così se pronunciamo le parole «accanto» o «sopra» o «sotto», senza indicare ulteriormente quali sono le cose delle quali intendiamo dire che «l’una è accanto all’altra» o «l’una sopra o sotto l’altra», noi non comunichiamo a chi ci ascolta alcuna maggiore informazione, su ciò che pensiamo o crediamo, di quanto faremmo emettendo dei suoni qualunque privi di ogni significato.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Max Müller