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      È così che si parla dei «fondamenti» della geometria, delle «basi» della morale ecc.;
      2) quelle che si riferiscono alla relazione di contenere, o includere. Queste si suddividono in due gruppi, a seconda che la conclusione si riguardi come contenuta nelle premesse, oppure, al rovescio, queste ultime si riguardino come contenute nella conclusione, riguardando invece la deduzione come un’analisi, o una riduzione, come un’operazione, cioè, analoga a quella di un chimico che decompone un corpo nei suoi elementi. Nel primo caso le premesse sono concepite come implicanti, nel secondo come esplicanti (spieganti) la conclusione che da esse si deduce;
      3) le metafore del salire e dello scendere, come quando si parla di conseguenze che «discendono» da dati principi, o dei principi ai quali si «risale», o come quando si paragona il «corso» del ragionamento a quello di un fiume, e si parla di proposizioni che «derivano» (découlent) o «sgorgano» o «erompono» o «emanano» ecc. dalle premesse da cui sono «tratte». A questo stesso gruppo, o al precedente, si possono aggregare anche le metafore a base biologica, nelle quali si concepiscono le conseguenze di date premesse come «generate» dalle medesime o le premesse come delle «radici» o dei «semi», ecc.
     
      Una caratteristica del primo gruppo di metafore, di quelle cioè che rappresentano il dedurre come un «appoggiare» o «appendere» un’affermazione ad un’altra, consiste in ciò che esse si prestano a dar corpo a una delle più radicali obbiezioni che possono essere sollevate contro la deduzione come mezzo di prova, all’obbiezione cioè che Leibniz qualificava (con un’immagine che si riferisce, come vedremo, al secondo gruppo di metafore da noi considerate) col nome di «difficultas Paschaliana de resolutione continuata». Questa obbiezione - che certamente Pascal non è stato il primo a sollevare e che non ha mai cessato di essere enunciata, sotto le forme più diverse, a cominciare da quando il concetto della deduzione come forma speciale di ragionamento si presentò alla mente dei primi sofisti greci - consiste nell’osservare che tutti i processi, nei quali si cerca provare qualche affermazione deducendola da altre, si devono basare in ultima analisi su delle affermazioni che alla loro volta non possono essere dedotte da alcun’altra, su affermazioni, cioè, che non possono essere provate se non ricorrendo a qualche altro procedimento (induzione, intuizione, ecc.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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