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      Tale metodo consiste nell’andar cercando dei casi o delle interpretazioni particolari per le quali la proposizione, che si vuol dimostrare non essere deducibile da date altre, cessa di essere vera mentre nello stesso tempo continuano a esserlo tutte le premesse da cui la si vorrebbe dedurre. Se a ciò si riesce se ne conchiude che la proposizione in questione non può venir dedotta da queste ultime, perché se ciò fosse essa sarebbe vera in tutti i casi in cui quelle lo fossero.
      L’applicazione di questo metodo alla prova della indimostrabilità del postulato d’Euclide era già stata del resto preceduta dal suo impiego alla soluzione di analoghe questioni, nel campo della logica formale, per opera di Gerolamo Saccheri (Logica demonstrativa, Torino, 1697).
      Tra le applicazioni posteriori al suo impiego nella questione geometrica sopra indicata, è da notare in primo luogo quella che ne ha fatto E. Schröder nella sua discussione con Ch. S. Peirce, relativa alla possibilità di dedurre la completa proprietà «distributiva» del prodotto logico dalle altre proprietà fondamentali delle operazioni della logica simbolica.
      Presso i cultori dell’indirizzo di ricerche logiche iniziate dal Peano, l’uso e la costruzione di esempi per mostrare l’indipendenza di date proposizioni da altre ha finito per assumere l’importanza d’uno strumento ordinario e indispensabile per l’elaborazione di qualsiasi teoria deduttiva perfettamente rigorosa (Padoa, Pieri, Vacca, Huntington, Veblen).
     
      Ma se nel campo degli studi di logica e di matematica il suddetto metodo si presenta come il più potente e sicuro per accertarsi dell’insolubilità di determinati problemi, e per farci evitare il disperdimento di forze cui può dar luogo la fiducia o anche solo il dubbio di poterli risolvere, esso non è tuttavia il solo col quale i vantaggi di questa stessa specie possano essere ottenuti.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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