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      Ciò che è detto in proposito da Platone (per esempio nel Lachete e nel Teeteto) coincide perfettamente con ciò che si trova espresso, per quanto sotto forma diversa, negli scritti dei migliori moderni teorici della conoscenza, per esempio da E. Mach col dire che le leggi scientifiche non esprimono che delle limitazioni alle nostre aspettative (cfr. il suo recente volume Erkenntnis und Irrtum, p. 442 ), da A. Naville col qualificarle come delle «proposizioni condizionali», da Ch. S. Peirce coll’asserire che esse non hanno altro senso che quello che risulta dalle previsioni alle quali ci porta la loro accettazione.
     
      Il Moore si domanda a quali cause sia da attribuire il fatto che la maggior parte dei sostenitori di quelle teorie etiche che egli comprende sotto la denominazione di «naturalistiche» (utilitarismo, evoluzionismo, ecc.) non si accorgano dell’incompatibilità che sussiste tra le conclusioni esposte sopra e la fiducia che essi hanno di poter «fondare» dei sistemi di morale sui semplici risultati delle ricerche scientifiche, o, in generale, di poter dedurre ciò che «dovrebbe essere» dal solo esame di «ciò che è».
      Tra tali cause egli crede che sia da porre in primo luogo la tendenza, comune del resto alla maggior parte dei moralisti, a far consistere il compito dell’etica nella determinazione non tanto di ciò che sarebbe bene che fosse (what ought to be) quanto invece di ciò che sarebbe bene che fosse fatto (what ought to be done). Poiché infatti le azioni sono ordinariamente giudicate buone o cattive, giuste o ingiuste, a causa dei loro effetti reali o preveduti (intenzioni), e poiché il determinare quali siano questi effetti è una questione che nel caso più usuale appare come assai più importante a esser discussa, e sulla quale è assai più difficile di trovarsi d’accordo che non su quella della giustizia, o bontà, o desiderabilità degli effetti medesimi, è più che naturale che la preoccupazione di stabilire dei criteri per l’apprezzamento o la giustificazione di dati modi di agire, o di date norme di condotta, abbia spinto i moralisti a rivolgere l’attenzione predominantemente al calcolo delle conseguenze di dati atti, e a ridurre così l’ufficio della morale soprattutto alla trattazione di questioni dello stesso genere di quelle che nei vari campi di ricerca si propongono i tecnici e gli scienziati.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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