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      Un punto fondamentale, sul quale il Calderoni richiama l’attenzione dei moralisti, è l’influenza che inevitabilmente esercita, e deve esercitare, sugli apprezzamenti morali la maggiore o minor frequenza delle azioni a cui essi si riferiscono. La tesi da lui patrocinata si trova qui contemporaneamente in contrasto con le due opposte correnti del pensiero etico contemporaneo, da una parte, cioè, con quella che si potrebbe chiamare la corrente «utilitaria», dall’altra con quella che si connette alla concezione stoica o kantiana della morale e del dovere.
      Contro gli utilitaristi egli osserva che, allo stesso modo come, nel «campo economico», a determinare il valore di un oggetto concorre, insieme all’utilità, anche un altro elemento, quello della rarità o delle difficoltà che si oppongono alla sua produzione, - mancando il quale elemento, anche oggetti utilissimi, come, ad esempio, l’aria o l’acqua, non possono avere alcun «valore» -, così anche in morale non tutte le azioni utili, o conformi alle esigenze della vita sociale, possono, e debbono, essere qualificate e approvate come «morali», ma solamente quelle tra esse che, oltre ad essere utili, sono anche tali che la loro «offerta», spontanea e gratuita, sarebbe troppo scarsa rispetto alla «domanda» corrispondente, e le quali quindi, se mancassero particolari stimoli (lodi, premi, per chi le fa, punizioni, biasimi, per chi se ne astiene), non verrebbero «prodotte» nella quantità richiesta.
      L’utilità che importa considerare per giudicare della moralità di una data azione non è, osserva il Calderoni, l’utilità complessiva delle azioni della stessa specie, ma piuttosto l’utilità corrispondente a un determinato aumento nel loro numero o nella loro frequenza, in quanto tale aumento possa venir provocato o favorito da determinati incoraggiamenti a compierli o da determinate minaccie a chi si rifiuti di compierle.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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