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      Lo storico della filosofia è molto più esposto di quello delle scienze al pericolo di scambiare per nuove opinioni o scoperte ciò che è solo nuova espressione di concetti e distinzioni già da lungo tempo riconosciuti, e di vedere dei contrasti e delle differenze di opinioni là dove non vi sono che differenze nel modo di rappresentare e caratterizzare gli stessi fatti e le stesse dottrine.
      A evitare il pericolo delle interpretazioni erronee derivanti dalla causa sopra accennata, nessun canone metodico può meglio giovare di quello che consiglia di determinare il significato di ogni frase, o proposizione astratta, per mezzo dell’esame delle conseguenze che se ne traggono e delle applicazioni che ne sono fatte da chi le enuncia, riguardando due frasi, o proposizioni, come equivalenti, o come due modi di dire la stessa cosa (Peirce), ogni volta esse vengano adoperate, da chi le adotta, come mezzo per giungere alle stesse conclusioni particolari.
      L’impiego di questo criterio alla storia della filosofia non è che apparentemente in disaccordo colla norma spesso citata (Batteux) che non bisogna mai attribuire ai filosofi antichi le conseguenze delle loro premesse, né le premesse delle loro conclusioni. Le conclusioni e le conseguenze di cui si parla nel nostro caso non sono quelle che lo storico o il critico credono derivare da date affermazioni dei filosofi da loro studiati, ma bensì le conseguenze che i filosofi stessi hanno tratto, o creduto si potessero trarre, da esse.
     
      Le considerazioni sopra esposte verranno meglio chiarite accennando a qualche risultato della loro applicazione a questioni particolari.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Peirce Batteux