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      È stata spesso ripetuta dagli interpreti di questa la notizia, trasmessaci da Aristotele, che il primo impulso che spinse Platone all’introduzione delle eide fu il bisogno di trovare un punto di appoggio contro le tendenze demolitrici di quelle dottrine filosofiche che, insistendo sulla continua mutabilità e «corruttibilità» delle cose materiali, sembravano togliere base a qualunque distinzione tra le opinioni volgari (docsai) e il sapere scientifico (epistème) rappresentato questo allora in particolare dalle scienze matematiche e dall’astronomia geometrica.
      Si può dire, a questo riguardo, che la teoria delle «idee» rappresentava, in certo modo, per queste ultime scienze, lo stesso ufficio che, per le scienze fisiche e meccaniche, è ora rappresentato dalla legge di causalità, in quanto anche questa consiste nell’anticipare o immaginare come sussistenti tra i fenomeni regolarità e uniformità maggiori, oltrepassanti quelle che l’osservazione superficiale potrebbe far riconoscere o ritenere probabili.
      Ciò è confermato anche dai passi nei quali Platone parla dell’analisi e della ricerca delle «idee» con termini che potrebbero senza alcun cambiamento essere adoperati per descrivere il rintracciamento delle singole cause, o leggi, cooperanti alla produzione di qualche particolare fenomeno.
      Non è senza interesse notare a questo proposito come il paragone istituito da Platone, nel Teeteto, tra la ricerca scientifica e gli sforzi di chi impara a decifrare uno scritto, corrisponda in tutti i suoi particolari alla immagine che si trova più d’una volta ripetuta negli scritti di Galileo e di Huyghens per rappresentare il processo seguito dal fisico che, dall’esame di esperienze particolari, tenta risalire alla determinazione delle leggi che le spiegano, dalla cui cooperazione i fatti concreti risultano, come le parole e le sillabe risultano dal combinarsi e raggrupparsi dei segni corrispondenti alle lettere dell’alfabeto.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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