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      Distinguere se due affermazioni siano effettivamente diverse, o esprimano una stessa veduta in due modi differenti, non è certo ne sempre facile, né ugualmente facile in ogni campo di ricerca. Ciò che sostengono i pragmatisti è solamente questo: che l’unico modo di provare che due affermazioni si trovano nel primo caso, e non nel secondo, è quello di addurre qualche fatto di cui l’una delle due teorie implichi l’attesa e l’altra no. Che poi questo fatto sia importante o non importante, interessante o non interessante, desiderabile o non desiderabile, tutto ciò è indifferente per tale scopo purché esso sia un fatto.
      Una circostanza che occorre notare, e sulla quale l’Enriques insiste ripetutamente quando parla delle «esperienze definitrici», è questa: che le attese o aspettazioni, di cui è necessaria la presenza perché si possa attribuire un significato a una data affermazione, non sono, o almeno possono anche non essere, aspettazioni incondizionate, cioè riferentisi a qualche fatto che succederà qualunque cosa si faccia da noi, o da altri, per impedirlo (o qualunque altro fatto, aspettato o no, accada prima), ma sono in particolare delle aspettative riferentisi d’ordinario a ciò che succederebbe se qualche cosa d’altro avvenisse o non avvenisse, o se noi agissimo in un dato modo invece che in un altro, o delle aspettative riferentisi all’efficacia o inefficacia che avrebbero i nostri sforzi per provocare delle combinazioni o delle separazioni tra certi fatti e certi altri.
      Colla sola eccezione di quelle, tra le leggi naturali, che riguardano gli effetti diretti e immediati dei nostri desideri o delle nostre deliberazioni, tutte le altre rappresentano in certo modo per noi delle limitazioni, delle gabbie, delle catene.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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