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      In quell’aspirazione all’unità, alle generalità supreme, alle sintesi universali, che, pure essendo comune alla maggior parte dei sistemi filosofici, si presenta nel caso del «monismo» sotto la sua forma più ingenua e acuta, il Papini scorge una delle tante manifestazioni di quel processo, ben noto agli psicologi della scuola associazionista, che conduce gli uomini a scambiare, gradatamente e senza che se ne accorgano, i mezzi per i fini, e a riguardare come uno scopo, desiderabile in sé e per sé, ciò che originariamente non era da loro cercato se non come un mezzo o uno strumento per raggiungere qualche cosa d’altro.
      I caratteri e le fasi di questo processo psicologico sono stati finora studiati soprattutto nel campo dei sentimenti e delle emozioni. Si è riconosciuta la parte preponderante che ad esso spetta nella formazione e nello sviluppo del carattere morale, dei vizi, delle virtù. È diventato, per esempio, un luogo comune, nei trattati di psicologia, il paragone tra l’eroe che si sacrifica per una idea o per il desiderio di gloria postuma, e l’avaro che, dal desiderare il danaro come mezzo per provvedere ai propri bisogni presenti e futuri, passa gradatamente a riguardarne il possesso come qualche cosa di supremamente desiderabile, indipendentemente da qualunque uso che egli ne possa e voglia fare.
      Di considerazioni di questa stessa indole non avevano mancato del resto di fare uso, e anche abuso, - assai prima del sorgere della psicologia associazionista e della teoria dell’evoluzione - quelli tra i moralisti antichi e moderni, che, da Antistene e Diogene a La Rochefoucauld, a Helvétius, a Schopenhauer, a Leopardi, si sono compiaciuti, sia per pessimismo genuino, sia per amore di paradossi o per virtuosità letteraria, a rappresentare i sentimenti umani meno comuni e più elevati, quali, per esempio, l’amore platonico o le varie forme di ascetismo, come delle derivazioni e trasformazioni di un egoismo primitivo, o degli istinti più bestiali, e nel far comparire, per esempio, sentimenti quali l’aspirazione alla giustizia, la gratitudine disinteressata, lo spirito di sacrificio, la rinuncia alla vendetta, ecc., come dipendenti da illusioni sul «vero scopo» delle azioni a cui spingono, e come non dovuti ad altro che a una specie di «mascheramento», o di dimenticanza dei motivi «utilitari» da cui queste erano originariamente determinate.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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