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      Né qui si può, come nel caso già accennato delle emozioni e dei sentimenti, attribuire a tale processo un’influenza benefica, e riguardarlo come un elemento, o fattore, di sviluppo intellettuale e di elevazione dell’uomo al disopra di se stesso.
      Qui non si tratta, infatti, dell’acquisto di nuove attitudini o capacità intellettuali, come là si trattava del sorgere di nuovi sentimenti o di nuove idealità morali. Collo spingere a continuare e prolungare, nelle varie direzioni, sino all’assurdo, per inerzia e mancanza di inibizione, dei processi la cui utilità e fecondità è legata a determinate circostanze, o confinata in certi limiti, il suddetto processo dà luogo ad altrettanti difetti di adattamento della nostra intelligenza alle sue diverse funzioni, e provoca sprechi e disperdimenti di ogni genere nell’esercizio delle nostre attività mentali.
      Il bambino a cui si è insegnato a girare la vite di un binocolo per adattarlo alla sua vista, e continua a girarla, per voglia di veder sempre meglio, anche quando ha oltrepassato il punto al quale gli converrebbe fermarsi, mi sembra un’immagine adatta per rappresentare i filosofi, di cui parla il Papini, i quali vedendo «come le idee generali servivano bene gli scienziati, si immaginarono ingenuamente che, continuando a generalizzare e ad unificare fino al punto da ottenere una generalizzazione universale, vale a dire che rendesse impossibile ogni altra, otterrebbero dei benefici tanto più grandi di quelli degli scienziati e giungerebbero al fondo dell’universo».(119)


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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