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      Il matematico e filosofo americano Charles Peirce, che più di ogni altro si è occupato dell’analisi e della classificazione delle varie specie di «relazioni», è stato portato dalle sue ricerche a stabilire una distinzione tra i verbi (o nomi ed aggettivi) transitivi, a seconda che essi esigano l’aggiunta di un solo o di più nomi per acquistare un significato determinato, per diventare cioè capaci di affermare qualche cosa degli oggetti e delle persone a cui vengono applicati.
      Sono, per esempio, verbi «doppiamente transitivi» (o bivalenti,(123) come si potrebbero chiamare con una opportuna immagine tolta dal linguaggio della chimica), comportanti cioè l’aggiunta di due nomi, i verbi seguenti: «insegnare» (qualche cosa a qualche persona), «dare» (qualche cosa a qualche persona), e i corrispondenti nomi: «maestro» (di qualche cosa a qualcheduno), «donatore» (di qualche cosa a qualcheduno), ecc.
      Esempi di verbi «trivalenti» capaci cioè, o esigenti, di venire «saturati» mediante l’aggiunta di tre nomi, sarebbero: «vendere», o «comperare» («vendo un oggetto A a una persona B, per un prezzo C», «compro un oggetto A da una persona B, per un prezzo C»).
      Nel caso di questi verbi «plurivalenti», o molteplicemente transitivi, si scorge chiaramente quale sia l’ufficio che hanno le preposizioni, in quanto servono quasi da organi connettivi, per applicare a ciascun verbo ordinatamente i rispettivi «complementi».
     
      Quanto più cresce il numero delle «valenze» tanto più cresce naturalmente il bisogno di speciali segni o particelle destinate ad evitare le ambiguità nell’assegnazione di diversi complementi a uno stesso verbo.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Charles Peirce