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      Potrebbero due linguaggi non avere in comune neppure una parola, e nonostante ciò non differire affatto nella loro tendenza a nascondere certi rapporti di somiglianza o di differenza tra i fatti, o a farne apparire altri come più importanti di quanto essi siano effettivamente.
      [XXIX]
     
      LE ORIGINI E L’IDEA FONDAMENTALE DEL PRAGMATISMO
     
      Pubblicato in "Rivista di psicologia applicata", n. 1, gennaio-febbraio 1909. Poi in Scritti, pp. 920-32. Questo scritto e il seguente, Il pragmatismo e i vari modi di non dir niente, furono stesi in collaborazione con Mario Calderoni e dovevano costituire i primi due capitoli dell’opera, Il pragmatismo e le sue principali applicazioni. Dopo la morte di Vailati, il solo Calderoni condusse parzialmente a termine il progetto, pubblicando un terzo capitolo, L’arbitrario nel funzionamento della vita psichica, che, insieme ai precedenti, venne raccolto per cura di G. Papini nel volumetto Il pragmatismo, apparso a Lanciano nel 1918.
     
      La parola «pragmatismo», a detta del suo primo inventore, Ch. S. Peirce, fece la sua prima comparsa in una serie di discussioni che ebbero luogo nel 1871, fra i soci del Metaphysical Club di Cambridge, Mass. Al Peirce questa parola parve opportuna per designare il metodo seguito, pure senza formularlo, dal Berkeley, nelle sue indagini sui concetti di «sostanza», di «materia», di «realtà», ecc.
      Come è noto, il Berkeley mostrò, o cercò di mostrare, che quando noi diciamo, per esempio, «il tale oggetto esiste» noi non intendiamo dire, né possiamo intendere di dire, in ultima analisi, se non questo: che, se noi, o degli esseri simili a noi, si trovassero in determinate circostanze, essi proverebbero determinate esperienze o sensazioni; in altre parole, che tanto il termine «realtà», come gli altri analoghi «sostanza», «materia», ecc., non indicano che determinate «possibilità di sensazioni».


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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