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      In questo procedimento del Berkeley parve al Peirce di riconoscere l’esemplificazione di un processo metodico più generale, che si potrebbe caratterizzare nel seguente modo:
      il solo mezzo di determinare e chiarire il senso di una asserzione consiste nell’indicare quali esperienze particolari si intenda con essa affermare che si produrranno, o si produrrebbero date certe circostanze.
     
      Poiché fra le circostanze di cui si parla, occupano un posto preminente le nostre «azioni» (movimenti, contatti, urti, ecc.), il Peirce credette di poter formulare il procedimento metodico suddetto col dire che il significato di un’asserzione qualsiasi consiste negli effetti che da essa sono indicati come derivanti, o capaci di derivare, da determinate nostre azioni.
      Ciò fu espresso da lui anche sotto una forma alquanto meno precisa, dicendo che «il significato di una concezione consiste nelle sue conseguenze pratiche».
      Quest’ultima frase, per quanto chiaro ne possa apparire il senso a chi la riconnetta all’ordine di idee a cui si è accennato sopra, ha fornito occasione ad una quantità di equivoci che non hanno poco contribuito a dare alla dottrina pragmatistica una popolarità alla quale difficilmente essa avrebbe potuto altrimenti aspirare.
      Fra questi equivoci è soprattutto da segnalare quello che consiste nel concepire il pragmatismo come una specie di «utilitarismo» applicato alla logica; nel vedere in esso, cioè, una dottrina assumente, a criterio della verità o falsità delle credenze, le loro conseguenze più o meno utili, o gradevoli, ecc.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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