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      Da ciò si vede come il trovarsi, in una data proposizione, il verbo al presente, invece che al futuro, non può affatto riguardarsi come un indizio che la proposizione non si riferisca a fatti futuri: poiché per indicare tale riferimento, ogni linguaggio ha a disposizione altri mezzi oltre quelli che consistono nella flessione del verbo.
      Si potrebbe, in certo senso, parlare anche del «futuro» e del «condizionale» dei nomi e degli aggettivi, come si parla del futuro e del condizionale dei verbi.
      Ognuno vede la differenza che c’è fra dire di qualcuno che è «irritabile» e dire che è «irritato», o tra dire di una cosa che essa è «mobile» e dire che essa è «mossa».
      Non sempre la relazione tra il significato delle parole nei due casi si trova messa in vista dalla stessa loro composizione. Così, per esempio, la stessa relazione, che sussiste tra «mobile» e «mosso», sussiste anche tra «credulo» e «ingannato», tra «capace» e «contenente», tra «pesante» (o sollevabile con fatica) e «sollevato con fatica», ecc.
      Le stesse osservazioni si applicano in generale a tutti i giudizi nei quali, di un dato oggetto, si afferma che esso ha, o possiede, una data proprietà, proprietà che si riguarda come «sussistente» anche quando noi non percepiamo o constatiamo i fatti nei quali essa «si manifesta».
      Così, quando diciamo che un oggetto ha un determinato colore, non intendiamo dire che percepiamo il colore in questione, ma che lo percepiremmo in certe circostanze (data cioè una certa luce, o dato che il nostro sguardo fosse rivolto verso di esso, ecc.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483