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      Vi sono cioè proposizioni che, mentre nelle loro ordinarie applicazioni funzionano come asserzioni vere e proprie, relative cioè a fatti il cui possibile prodursi o non prodursi ci costringerebbe a dichiararle false, si mantengono atte a presentarsi, nello stesso tempo, sotto l’aspetto di proposizioni la cui verità non può essere contestata se non da chi impugni il senso che in esse è attribuito a qualche parola che vi figura. Esse si sottraggono in tal modo, ogni volta occorra, a qualsiasi necessità di prova o possibilità di confutazione.
      La forma più frequente sotto la quale si presentano i paralogismi di questo genere è quella che consiste nel dire che il tale oggetto gode della tale proprietà perché essa è una sua proprietà «essenziale» (o inerente alla sua «natura»), senza la quale esso cesserebbe di essere quel che è - o in altre parole quello che dovrebbe essere se ad esso fosse veramente applicabile il nome con cui abbiamo cominciato a chiamarlo.
      Locke ha osservato, a proposito appunto delle proposizioni concernenti la «essenza» o la «sostanza», che esse non possono godere legittimamente del loro carattere di assoluta certezza e incontrovertibilità, se non a patto di venire vuotate di ogni contenuto istruttivo, mentre esse non possono diventare «istruttive» se non a condizione di rinunciare alla loro evidenza, e spesso addirittura alla loro certezza e universalità.(130)
      Un esempio di questo genere, come è stato, appunto a questo proposito, già osservato da Bernardo Bolzano in un interessante passo della sua Wissenschaftslehre, ci è fornito dalla frase colla quale ordinariamente si enuncia il così detto «principio di causalità», cioè che «ogni effetto deve avere una causa». Si tenta infatti spesso di fare apparire questo principio come necessario, o evidente per se stesso, dicendo che un effetto senza causa non sarebbe un effetto.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





Bernardo Bolzano Wissenschaftslehre