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      Per spiegarmi con un esempio, se anche le leggi di Keplero avessero corrisposto ai movimenti effettivi degli astri non meno esattamente di quanto vi corrispondano i risultati che si ottengono per deduzione dalle leggi di Newton, la sostituzione di queste ultime alle prime non avrebbe perciò mancato di rappresentare un passo verso una maggior generalizzazione, in quanto che mentre le leggi di Keplero non si riferiscono che ai moti che i pianeti hanno effettivamente, quelle di Newton (anche facendo astrazione dal fatto che esse abbracciano anche il caso dei moti dei gravi alla superficie della terra) ci dicono qualcosa anche sui moti che essi avrebbero o avrebbero avuto, se la distribuzione iniziale delle masse e delle velocità fosse stata diversa. Nelle scienze che hanno rapporto colla pratica, che si riferiscono cioè a fatti in parte soggetti al controllo della volontà umana, le congetture relative a ciò che avverrebbe, se si verificassero condizioni che mai si verificarono in passato, hanno tanta e, spesse volte, maggiore importanza che non le cognizioni relative a ciò che avviene, o è sempre avvenuto, in assenza di tali nuove condizioni. È perciò che alla deduzione va attribuita una funzione assai più importante come mezzo di invenzione che non come mezzo di scoperta. La parte che le compete nelle invenzioni meccaniche è messa assai bene in luce dal Reulaux (Cinematica, trad. it. del professore Colombo, p. 22). Sono pure da consultare a questo proposito le opere del Kapp (Philosophie der Technik) e dell’Espinas (Technologie des Grecs). Analoghe considerazioni possono forse dar ragione del fatto spesse volte notato che, anche per quanto riguarda lo studio dei fenomeni sociali, i più arditi inventori e costruttori di schemi di riforme, e i critici più spietati delle teorie giustificatrici delle istituzioni e degli ordinamenti sociali effettivamente esistenti, sono precisamente quelli tra gli investigatori che si distinguono per una maggiore tendenza verso l’uso, o anche l’abuso, della deduzione (per esempio Rousseau e Marx).


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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