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      (120) La volontarietà degli atti e la sua importanza sociale, in "Rivista di Psicologia", luglio-agosto 1907.
      (121) La trovo citata tra gli altri da G. Zoppi, nel suo volume sulla Filosofia della Grammatica (Verona, 1880), che ho trovato pieno di osservazioni suggestive sull’argomento qui trattato.
      (122) Del procedimento che porta gradatamente a far assumere il carattere di transitività a verbi originariamente intransitivi, si può citare come esempio tipico quello del verbo «cavalcare» che, mentre significava primitivamente, già di per sé, «montare a cavallo», pel fatto di essere poi applicato al caso di altre «cavalcature» finì per esigere la indicazione di queste, diventando così transitivo («cavalcare un mulo», ecc.).
      (123) Sarebbe forse più proprio chiamarli «trivalenti» in quanto anche il soggetto rappresenta una «valenza». Sarebbero allora «bivalenti» i verbi semplicemente transitivi, «univalenti» i verbi intransitivi, e «nullivalenti» (o privi di «valenza») gli impersonali come «piove», «nevica», ecc. Gli impersonali latini come «pudet me», «piget me», «mihi videtur», ecc. sarebbero «bivalenti», come i verbi transitivi. Come esempio di verbi a quattro «valenze» si potrebbe citare il verbo «scambiare» nel senso commerciale («il tale scambia con la tal persona, la tal cosa con la tal altra», o più semplicemente «le tali due persone si scambiano fra loro le tali due cose»).
      (124) Per i lettori non matematici, ai quali la parola «funzione» potrebbe presentarsi come oscura e misteriosa, avverto che, in algebra, si chiama «funzione» qualunque segno, o locuzione, tale che, facendola seguire dall’indicazione di un numero (coll’interposizione, quando occorra, di una conveniente preposizione) dia luogo ad una frase indicante un altro numero determinato.


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Scritti filosofici
di Giovanni Vailati
pagine 483

   





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