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      Gli pareva di camminare su di un terreno infocato. A ogni momento si aspettava un grido o una sollevazione. C'è gente a frotte. Si capisce che si sono vuotati gli opifici. La direzione generale è verso il Duomo. Maresti mi induce a cambiar strada e filo con lui in via Orefici, la via delle catapecchie in demolizione, zuppa di femminacce ulcerate fino agli occhi. È una via brutta, con l'acciottolato sempre ricoperto da uno strato limaccioso, sempre pieno di pozzanghere e di prostitute in agguato ad aspettare il maschio. Dal giorno che venne decretato il suo disfacimento i vecchi orefici, che vendevano spadine e bucole alle brianzuole, se ne sono andati, e ogni casupola è diventata il covo della prostituzione che si sguinzaglia di notte come lupa affamata. Anche adesso, che la via è sottosopra e tumultuata, si sente l'odore fetido della carne sdrucita e vendereccia che attutisce ancora i sensi indiavolati dei briaconi che passano.
      Al diavolo il carnimonio! Mi spingo avanti, dove la gente è più fitta e calcando cerco di mettermi in prima fila. Sono respinto da una ondata che si rovescia indietro, spinta da un'altra ondata che non vedo. Riesco vicino al muro della casa che lambisce la piazza del Duomo, senza vedere nulla di quello che avviene al di là della barriera umana. Maresti, più alto di me, ha veduto che c'è un cordone che va dalla offelleria al monumento. La folla che mi pigia e mi toglie la respirazione è composta in maggioranza di operai impazienti di attraversare la piazza.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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