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      Coloro che tentano di flanellare lungo i cordoni militari, vengono mandati al diavolo con la voce rude che sente del momento.
      Domando il permesso all'ufficiale vicino ai magazzini del Bocconi di attraversare la Galleria per salire all'associazione della stampa. Gli presento la tessera sulla quale è incollata la mia fotografia. Non si può. Non è permesso. Gli ordini militari non si discutono, e volto indietro per il corso Vittorio Emanuele. Non sono ancora vicino al ristorante dell'Orologio, che la gente si mette a scappare in tutte le direzioni e i negozi semichiusi si chiudono precipitosamente, come se un esercito di pitocchi stesse per irrompere a dare il sacco alle botteghe. Il fuggi fuggi fa andare gli uni addosso agli altri e il panico corre per il corso a mettere tutti sossopra. Si chiudono le porte, si chiudono le finestre e si lasciano i pedoni senza un rifugio per salvarsi dai pericoli della strada. Qualche signora che non sa allungare il passo o decidersi a raccogliere le vesti ed imitare le altre, si spaventa, scolorisce e pronuncia parole che racchiudono la sua desolazione di essersi lasciata sorprendere dalla sciagura cittadina.
      Si senton le ruote dei carri pesanti che sussultano lungo l'acciottolato e le zampe dei cavalli enormi che sdrucciolano di tanto in tanto sulle pietre dei ruotabili. Sono due cannoni di grosso calibro accompagnati dai carri con gli attrezzi e con la munizione. Vanno via al trotto e lasciano supporre che siano avviati verso il teatro della insurrezione.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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