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      Aggiungeva anche che dietro le persiane agitate, contro le quali si voleva far fuoco, era l'abitazione di un ottimo padre di famiglia, che sedeva tutti i giorni nel seggiolone di giudice di tribunale. Ma il tenente incaricato di ordinare il fuoco non volle sentire ragioni. Era nella testa delle autorità daziarie, della sicurezza pubblica e militare, che dalle finestre del giudice di tribunale erano usciti dei colpi di revolver e di fucile.
      Non potendo reggere allo strazio di vedere la truppa che tirava contro le finestre degli amici, l'ingegnere Macchi prese per un braccio il signor Fumagalli, e tutti e due rientrarono nel casino daziario ad aspettare che il comandante si persuadesse della loro innocenza. Intanto che erano chiusi nell'anticamera dell'ufficio, gli squilli di tromba e le cannonate li facevano impallidire.
      I due cannoni che vomitavano la mitraglia micidiale erano appostati colla bocca verso corso Concordia. Il secondo, a pochi passi dal marciapiede sinistro del piazzale Monforte, tirava sul convento dei Cappuccini. Dopo i due squilli, udirono quattro cannonate: la prima fece sussultare i vetri del casino dove erano, e l'ultima diede a tutto l'edificio uno scotimento, che fece traballare il suolo sotto i loro piedi.
      Intanto che i proiettili imperversavano per l'aria, nel casino daziario si diceva che gli studenti di Pavia avevano fatto le fucilate con la truppa schierata lungo i cancelli di Porta Venezia. Si parlava di un fuoco disperato. Inseguiti, si sarebbero nascosti nel convento e nella chiesa dei frati, da dove vennero sloggiati dalla mitraglia.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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