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      - Portamene un'altra e dammi un'altra penna.
      Alla mattina ci svegliammo con le ossa rotte. Avevamo sulla faccia il colore di una notte trambasciata. Ci eravamo coricati sul tavolazzo, vestiti come eravamo entrati, e lungo la notte il sonno ci era stato interrotto centinaia di volte. Dal fracasso degli usci che si aprivano e si chiudevano, dal trambusto, nel cortile, dei soldati che pareva arrivassero ogni quarto d'ora, dai piedi che tumultuavano sotto il portico e dalle voci che giungevano a noi come di gente ammutinata.
      Verso le dieci antimeridiane il delegato Eula ci annunciò che era giunto l'ordine della traduzione al cellulare. Venimmo chiamati a due a due, e a due a due venimmo legati, polso a polso, con una catenella, da un maresciallo dei carabinieri alto e spalluto. Eravamo così appaiati: Valentini e Chiesi, Seneci e Federici, Cermenati e Romussi, De Andreis e Girardi. Uscimmo ed entrammo in una folla di circa ottanta arrestati.
      Il balcone del palazzo di questura era gremito di altri monturati con alcuni borghesi. Non posso dire se vi era Bava Beccaris, perché non lo avevo mai visto neppure sulla fotografia. C'era certamente il questore. Un uomo magrettino c'ha ha l'aria di essere gobbo. I grandi gallonati parlavano tra loro e gli uni ci additavano agli altri col dito puntato verso noi.
      Prima che il convoglio si mettesse in moto, il delegato Birondi disse a tutti:
      - Non salutino alcuno e non parlino, perché ho ordini severissimi.
      Eravamo tutti a piedi, circondati dai carabinieri e dai soldati di cavalleria col revolver in pugno.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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