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      Il sacerdote, che non aveva angolo che non fosse visibile alla bocca di fuoco, venne preso da una specie di panico che lo obbligò a chiamare ad alta voce il capoposto, il quale, per fortuna, era un chierico.
      I ventiquattro, dopo dieci ore di processo, ritornavano in camera sfiniti o stracchi morti, mangiavano un boccone e si buttavano sul pagliericcio con la speranza d'addormentarsi subito e dimenticare ciò che avevano sentito nella giornata. Le venti o trenta sentinelle, alla distanza di pochi passi l'una dall'altra, alle otto precise incominciavano a gridare con delle voci sgangherate: Sentinella all'ertaaa! - All'erta stooo! Sentinella all'ertaaa! - All'erta stooo! - Sentinella all'ertaaa! - All'erta stooo! - Sentinella all'ertaaaaaaaa! - all'erta stoooooooo! - Sentinella all'ertaaaaaaa! - All'erta stooooooooooooooooo!
      Una voce seguiva l'altra con degli o e degli a larghi che spesso morivano nell'aria come un'agonia e talvolta si rompevano con un fracasso che metteva sottosopra il cervello dei detenuti che non potevano dormire. E dopo dieci o quindici minuti di riposo, ricominciavano a gettare le voci per lo spazio più sgangherate di prima.
      Gli accusati si alzavano al suono della campana con le occhiaie della gente che patisce d'insonnia. Il direttore del Secolo, che non può dormire che al buio e in luogo tranquillo, tormentato dalle grida degli incappottati, si voltava e si rivoltava anche quando aveva preso un po' di solfonal o di trional.
      Il Chiesi, che non sa leggere in letto perché gli si chiudono subito gli occhi, in Castello aveva dei momenti di disperazione perché non gli si concedeva il riposo notturno.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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