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      La giornata dopo che il Giarelli lo aveva fatto diventare celebre presentandolo ai lettori della Ragione come autore del Mago - un canto che sentiva del profumo dei suoi anni e che sgretolava il vecchio mondo come il canto satanico di Carducci - lo pregai di prestarmi un libro.
      - Figurati!
      Mi lasciai trascinare a casa sua con uno stringimento di cuore. Mi aspettavo di vedermi spalancato l'uscio di un uomo in mare. Credevo di trovarlo in una soffitta che venisse inaffiata dalla pioggia, con una dozzina di volumi pieni di ditate untuose per il suolo, con dei fogli imbrattati di inchiostro su un tavolo che non sta mai quieto, con una seggiola sventrata, con una camicia sudicia appesa alla parete e un paio di ciabatte squinternate vicino a un saccone di foglie di granturco sui cavalletti di legno.
      All'entrata diventai di tutti i colori. La sua casa in via Gesù era di quelle che respirano il benessere degli inquilini. La portinaia lo salutò con una mezza riverenza, lo chiamò signor dottore, e gli lasciò prendere un mucchio di lettere da un casellario che rivelava l'ambiente signorile. Salimmo per uno scalone, entrammo per l'uscio aperto da una cameriera e mi trovai coi piedi sul tappeto, in un salotto sontuoso, circondato da mobili eleganti, cogli occhi che andavano da una tela di qualche sommità del pennello ai bibelots di un'étagère superba.
      La mamma non pareva la mamma di un figlio che si trascurava negli abiti fino all'indecenza. La guardavo e pensavo alla castellana: alla signora alta, coi capelli bipartiti come una Madonna, con la faccia signorilmente lunga, con l'abito nero giù a piombo, illuminato intorno al collo dal pizzo antico e illustrato al seno da una nidiata di solitari sepolti nelle trine.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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