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      Vi rimasi assopito non so pių quanti minuti. Mi risvegliai spossato. Il cubicolo era cosė tetro e angusto che mi ricordai delle camerucce dei famosi forni di Monza, ove i Visconti avevano scontato i loro mesi di prigionia. Per muovermi, non avevo che uno spazio di un metro e sessanta di lunghezza e un metro circa di larghezza. Era alto, con una finestrolina sopra la porta che riceveva la luce scialba del corridoio chiuso e largo poco pių della tana. Per vederci malamente dovevo stare cogli occhi alla inferriata.
      Nessuno dei miei compagni fiatava. Si capiva che attraversavano anche loro il momento della prostrazione.
      Sentii Chiesi che domandava a Fritz come stava.
      - Bene, grazie.
      Nacque subito il dialogo.
      Romussi: Mi pare di essere in un antro. Č possibile che ci si facciano passare degli anni in questo buco?
      Federici: lo tranquillava assicurandolo che la segregazione personale non poteva durare pių di un sesto della pena.
      Romussi: Saccorotto! Ci dici poco a vivere in questa tana per sette od otto mesi? Ho tentato di leggere col libro alla ferriata, ma ho dovuto smettere. Vi avrei lasciata la vista...
      Chiamammo due o tre volte don Davide senza averne risposta. Credevamo che dormisse. Invece, il povero prete, entrato nel cubicolo, non seppe pių reggere. Pianse dirottamente. Pianse nel silenzio soffocando i singhiozzi per non farsi sentire dai colleghi, pregando Dio di aiutarlo in un momento di tanta ambascia.
      Io, che personalmente lo conoscevo da parecchi anni e che durante il processo avevo ribadita l'amicizia, inquieto del suo silenzio, gridai:


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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