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      Era inutile abbandonarci alle malinconie. Perché non eravamo che alla titillazione del sistema. Ci aspettavano ben altre sorprese.
      Costantino Lazzari si era seduto, come al solito, tra due brande senza dire una parola. Egli si teneva come isolato. Non aveva confidenza in alcuno e nel suo angolo era il suo mondo. Se qualcuno lo interrogava, rispondeva come un mastino irritato. Una volta che gli domandai se aveva qualche dispiacere, mi rispose di occuparmi delle cose mie!
      - 2559?
      - Presente!
      Presi la mia biancheria e me la appesi dando in una risata che mise quasi tutti di buon umore.
      Noi credevamo che nei penitenziarii i forzati e i reclusi venissero abbandonati al rimorso dei loro misfatti, e non vedessero che la mano incaricata di stendere loro dal buco la pagnotta, la minestra e l'acqua. Invece, in una camerata di galera, si è come in una sala di ufficio telegrafico. C'è sempre gente che va e viene. Alla mattina, quando avete ancora gli occhi ingarbugliati, vi dovete mettere sul guardavoi, nello spazio delle brande, per la "conta". Si spalanca il cancello ed entrano tre guardie seguite da un sottocapo o da una guardia scelta che vanno fino in fondo alla muraglia, contando, mentre passano, uno, due, tre, quattro, cinque, sei e sette. È la consegna dei reclusi dalla guardia notturna alla guardia diurna. Escono, si chiude e si schiude di nuovo il cancello per i reclusi che vengono a portar via il mastello dell'acqua sporca, per il recluso che viene a prendere il barile dell'acqua, per il forzato che vuota il "bugliolo" e il pitalone.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Lazzari