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      - Taci! C'è raffinatezza più diabolica di quella di romperti violentemente la comunicazione epistolare con tutto il mondo che hai conosciuto, che conosci, che ti ama e continua a volerti bene, anche dopo la condanna dei tribunali di guerra? Raffinatezza più triste, più sciagurata di quella di impedirti di scrivere a tua moglie, a tua madre, ai tuoi figli, a coloro che ti amano e che ti piangono e che ti idolatrano, se non una volta ogni tre mesi, se sei alla reclusione, o una volta al mese, se sei alla detenzione? E anche questa lettera mensile e trimestrale non è un'altra tortura? Tu non puoi parlare, ti si dice, che dei tuoi interessi. Non è un interesse dire, per esempio, ai tuoi di casa di non addolorarsi perché ti si è mandato alla reclusione innocente? No, perché insulteresti la giustizia. Non è un interesse parlare di ciò che fai e di ciò che vedi, della tua salute, se stai bene o male? No, perché il condannato non deve parlare di quello che avviene nella casa di pena!
      Più di una volta, io e don Davide abbiamo dovuto discendere in direzione a riprenderci la lettera coll'ordine di riscriverla senza qualche frase contraria al regolamento. Per due settimane ero stato malaccio. Mi sentivo debole e non sapevo più digerire la pagnotta e la pasta del penitenziario. Scrissi nella lettera della mia indisposizione, aggiungendo "che adesso stavo bene". Si poteva essere più modesti? La direzione trovò modo di farmela rifare.
      - Non le pare, signor direttore, o signor capo, che questa sia una notizia di carattere intimo?


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Davide