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      Mi diceva Turati che di notte sciupava il tempo con questi puzzolentissimi insetti che non lo lasciavano dormire. Tre o quattro giorni prima che andasse alla reclusione, il direttore, impressionato dal suo tormento, gli fece imbiancare il cellone e passare alle fiamme il letto di ferro.
      - Ne ho trovate, ci diceva lo scopino incaricato di farli morire col fuoco, a nidiate. Morivano mandando un'odore pestilenziale che mi dava le vertigini.
      Un'ora dopo questo nettamento e questa pulitura, ne vedemmo tre che andavano via, pian piano, per il cuscino!
      Nelle vecchie carceri di Genova non mi sono fermato che 15 ore. Se vi fossi rimasto di pił, ne sarei uscito dissanguato. Venivano fuori a frotte.
      Il soffitto ne era pieno e negli angoli delle pareti si potevano prendere a manate. Alla notte, per paura che mi andassero nelle orecchie, o su per il naso, o in bocca, fui costretto ad alzarmi. Il letto ne formicolava. Potevo coglierle a manate al buio. Sdraiato non mi lasciavano quieto. Le mie mani precipitavano sulle gambe, sul petto, e le rincorrevano per il corpo senza riuscire mai a liberarmene. Come erano spietate le cimici del carcere giudiziario di Genova! In questo carcere maledetto, non ebbi coraggio di mangiare, ma ebbi l'imprudenza di comandare un caffč. Ritirandolo dal buco dell'uscio me ne caddero tre nella chicchera e due nel piattino. Buttai via la bevanda dal disgusto.
      Nello stanzone di Finalborgo formicolavano per i cornicioni, si sorprendevano sulle pareti, si trovavano in letto, nelle screpolature dei muri, nelle commessure delle finestre, e perfino nelle crepe del tavolo.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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