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      Il solo che non avesse alterato la figura era il sacerdote. Gli altri pareva che fossero stati in un'altra stanza a truccarsi o a cambiarsi la testa.
      Gustavo Chiesi, grasso e grosso, aveva del frate Melitone. Il buon Suzzani - che si chiamava, con compiacenza, "compagno di Carlo Marx" - aveva assunta l'aria d'un abatino pieno di modestia. Costantino Lazzari era uscito dalle mani del parrucchiere una edizione peggiorata. L'avvocato Federici si era trasformato in un santocchione che sginocchia per le chiese. Ghiglione era ritornato in mezzo a noi come un uccello di rapina. Il suo naso lungo si era prolungato e la punta appariva più adunca di prima. I peli scomparsi dalla guancia sinistra gli avevano lasciato all'aria una prominenza che gli delinquentizzava la faccia.
      Il nostro barbiere è nato sotto una cattiva stella. Egli ci sbarbava direi quasi con orgoglio. Considerava il sabato il più bel giorno della sua vita, perché poteva scambiare qualche parola con noi. Ma venne il giorno triste della partenza. Il direttore lo aveva destinato per il reclusorio di Finalmarina. Trovò modo di venirci a salutare. Strinse la mano a ciascuno di noi con la voce che tremava. Addio, si ricordino di me, del povero barbiere pentito del suo fallo. E lo sentimmo che si allontanava col singhiozzo che egli tentava di soffocare nel fazzoletto a quadrettoni.
     
     
      IL CONDANNATO IN TRADUZIONE
     
     
     
      Il mio viaggio da Finalborgo a Milano, per subire un altro processo, mi ha dato modo di studiare una delle pagine più dolorose della vitaccia del bestiame che passa da una galera all'altra.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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