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      Ricordo tutto, come se fosse adesso. Era il 27 luglio, una giornata afosa. Io e alcuni abitanti della quinta camerata stavamo con la gamella capovolta, sul mastello dell'acqua sporca, per lasciar colare la pasta dalla brodaglia maculata di scandellature.
      Entrò il sottocapo Osmiani a scompigliarci. Era l'uomo più serio del personale di custodia. Non sciupava parole. Ci chiamava guardando in terra e tenendo l'indice della sinistra in alto.
      - 2559!
      - Presente!
      Ero già pronto. Mi lasciai baciare teneramente dagli amici, presi il fagotto sotto il braccio e uscii con la gola rasa di commozione. Per evitare il disastro di una gita galeottesca avevo fatto di tutto. Avevo detto al direttore che soffrivo e che non ero in grado di rimettermi in un vagone cellulare. Ma non ci fu verso. Il medico, dopo avermi palpeggiato, come se fossi stato di straccio, mi trovò sanissimo.
      Il mio compagno di viaggio era uno della "rivoluzione". Egli era stato colto in piazza di Luino durante i tumulti e condannato dal tribunale militare a sei anni di reclusione.
      - Vi rincresce?
      - Sì, perché sono innocente e perché ero l'aiuto dei miei genitori.
      Facemmo la strada a piedi. I veicoli ci empivano gli occhi e la bocca di polverone bianco e la gente voltava via la faccia inorridita. Un nugolo di studentesse sull'omnibus a giardiniera ci fece venire le vampe della vergogna alla faccia.
      - Come sono brutti!
      E non avevano torto. Il più bel giovine d'Italia, che esca da un reclusorio, spaventa. In pochi mesi il reclusorio te lo rende irriconoscibile.


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





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