Pagina (256/302)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Don Davide si soffiava il naso sovente a Finalborgo. Aveva preso un raffreddore che gli era divenuto cronico. E il lavandaio, di nascosto, gli lavava un fazzoletto al giorno e glielo portava pulito e piegato come una cosa proibita dal regolamento.
      L'udito del 77 era molto difettoso.
      C'era un recluso che aveva già scontato otto anni e che anche nel saio della casa di pena non aveva perduto la caratteristica del mestiere che esercitava prima di essersi intriso le mani nel sangue dei suoi simili. Lo si vedeva e si pensava al palcoscenico. Egli non poteva essere che un calcascene. Il suo viso era una ditta teatrale. Una di quelle facce grassottelle di venticinque anni, con la carne biancastra della gente che va a letto quando la notte sfittisce, con l'ombreggiatura per la mezza faccia della barba fitta e nera che ha subìto il contrappelo e con gli occhioni dalle pupille fulgide nella vivezza lattiginosa che inondano l'assieme di una bontà infinita.
      La sua vita di "scrivanello" - una vita che lo lascia libero tutto il giorno e gran parte della notte - non gli ha fatto dimenticare che gli mancano quattro anni, anni che egli chiamava quattro secoli anche quando gli si diceva che la sua liberazione non poteva essere lontana.
      Le lettere che riceveva dalla famiglia gli rinverdivano le speranze ogni tre mesi, ma, tra l'una e l'altra del trimestre, aveva dei momenti neri di ipocondria. Gli pareva che più nessuno pensasse a lui. Prima che venisse l'indulto me ne fece leggere una la quale gli dava l'idea che finalmente il sovrano si era commosso del suo stato.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Davide Finalborgo