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      Coi pregiudizi che pullulavano nella testa operaia e con la stampa che blatterava di progresso e dava eternamente ragione agli intascatori di lavoro non pagato, senza un giornale che stimolasse, che aiutasse, che confortasse, che difendesse e che rivelasse la vita che si svolgeva negli stabilimenti padronali, gli operai non avrebbero potuto tener duro.
      Un giornale era necessario. Senza di esso sarebbero stati calunniati, schiacciati. Non si domandarono neanche chi di loro sapeva scrivere o chi di loro sapeva mettere assieme un foglio qualunque. L'esperienza li avrebbe fatti andare sulle pedate degli altri. Il loro partito era nuovo e nuovi dovevano essere gli scrittori.
      Non si trattava di scrivere in ghingheri. Si trattava semplicemente di dire chiaro e tondo che cosa volevano, dove tendevano, a che cosa aspiravano. Non altro. E il Fascio Operaio - voce dei figli del lavoro - il 29 luglio 1883 era già nelle mani del pubblico. Lo scopo della pubblicazione era condensato in queste parole di Malon stampate a destra, in corpo otto, sotto il titolo del giornale: "Se non pensano a far da loro gli operai italiani non saranno mai emancipati".
      Nel primo articolo intitolato "chi siamo e che cosa vogliamo", dicevano apertamente che erano "operai nel più stretto senso della parola, cioè, operai manovali".
      Siamo i figli di quella immensa moltitudine a cui la vita non è concessa che a patto di una perenne produzione - di quella classe che lavora e soffre, senza adeguati compensi - che vede il frutto delle proprie fatiche aumentare le ricchezze dei capitalisti


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I cannoni di Bava Beccaris
di Paolo Valera
pagine 302

   





Fascio Operaio Malon